Qualche giorno fa si è tenuta a Pisa, nell’ambito dell’Internet Festival e in particolare della sezione HackOrto, una tavola rotonda sul tema della digital wine strategy.
È stata un’occasione di confronto tra chi si occupa di comunicazione e chi invece si occupa di condurre un’azienda ma lo fa con un approccio già innovativo, il tutto moderato da Andrea Gori che ha provveduto con solerzia anche a pubblicare i video degli interventi.
Prima della digital wine strategy serve una wine strategy
Il primo a parlare è stato Pierpaolo Penco, che ha ricordato innanzitutto che prima di parlare di una digital strategy è necessario parlare di strategy tout cour: un’azienda dovrebbe definire degli obiettivi e agire sulla base di quelli – Philip Kotler docet. La percezione che si ha, tra gli addetti ai lavori, è che le aziende si muovano troppo spesso a tentoni, rispondendo a una richiesta ma senza mai riuscire ad anticiparla. Pierpaolo ha poi parlato di come la comunicazione oggi venga fatta dal basso, con contenuti fatti dagli utenti stessi, citando ad esempio anche il caso di Vivino, applicazione per smartphone che permette di arrivare a tutte le notizie (prezzo medio, recensioni di altri utenti ma anche di utenti VIP) su una certa bottiglia semplicemente fotografando l’etichetta.
Gli ingredienti di una buona storia
Il mio intervento ha seguito quello di Pierpaolo. Andrea mi aveva chiesto di citare un po’ di casi interessanti e visto che avevamo solo 10 minuti a disposizione, ho pensato a un modo di collegare il tutto. Da lì è nata dell’idea di parlare di digital wine strategy in termini di storytelling e, partendo dai casi di alcune aziende, di individuare gli ingredienti principali di una buona storia – in questo caso ho sfruttato anche la mia altra metà, quella di narratrice. Ebbene eccoli qui, gli ingredienti di una buona storia:
- i personaggi – una buona storia ha dei personaggi forti, capaci di raccontare la propria esperienza, il dietro le quinte del lavoro di un’azienda vitivinicola. Troppo spesso i consumatori non si rendono conto del lavoro che c’è dietro una bottiglia e vale la pena raccontarlo. Non è né più né meno quello che un produttore già fa a qualsiasi degustazione, solo che in questo caso va fatto online. Come esempio, ho citato Marilena Barbera e in particolare il messaggio di benvenuto che dà a chi si iscrive alla sua newsletter – ottimo esempio per tutti, a prescindere dal settore.
- l’ambientazione – l’ambientazione è essenziale, in qualsiasi storia. E il bello è che un’azienda vitivinicola ha per definizione un’azienda splendida, ma va raccontata, senza trascurare i dettagli. Rientrano in questo ambito la vigna ma pure il territorio. Ecco, raccontare il proprio territorio, senza parlare solo di se stessi, è un ottimo modo di essere online. L’esempio dato è quello di un vecchio progetto di Planeta di cui avevo parlato già qui.
- il conflitto – se leggete un romanzo e ai personaggi non succede mai nulla, è probabile che dopo un po’ il romanzo vi annoi. Una storia che funzioni deve avere una certa tensione. Ben venga quindi la condivisione dei propri obiettivi e anche dei propri problemi, perché no. La vita di un’azienda vitivinicola non è tutta correre giù per i filari mano nella mano come le sorelle della Casa nella prateria. Il fatto è che raccontando anche questi elementi chi ascolta la nostra storia riuscirà a mettersi nei nostri panni e a riconoscere il valore di ciò che facciamo. L’esempio citato è stato quello di Luca Ferraro di Bele Casel e del lavoro che ha fatto con il prosecco col fondo, raccontando la sua sfida di valorizzare una tipologia di vino poco conosciuta e troppo spesso associata a vini prodotti in grandissima qualità. La foto è di Maria Grazia Melegari che mi aveva concesso l’utilizzo per il libro.
- il coinvolgimento – dal conflitto arriviamo dunque al coinvolgimento. Il consumatore di oggi vuole essere coinvolto direttamente, vuole un’esperienza. Vuole emozionarsi ma vuole pure imparare qualcosa – e questo crea un forte collegamento anche con il turismo enogastronomico che, a mio avviso, andrebbe sempre più valorizzato come strumento di fidelizzazione, perché crea un legame diretto. L’esempio citato è di Mirabeau, un’azienda fondata da un inglese in Provenza che ha deciso di comunicare attraverso i video fornendo contenuti divertenti e per niente pretenziosi ma anche ricchi di dritte su come i consumatori possono avvicinarsi al mondo del vino.
Le aziende si raccontano
Per finire hanno parlato Stefano Legnani e Marco Caprai, raccontando le loro esperienze molto diverse – viste le dimensioni aziendali – con il web. Stefano Legnani, partito come appassionato che scriveva di vino ha raccontato attraverso i social network l’inizio della sua attività, incluse le sfide burocratiche che doveva affrontare, riuscendo così a creare un legame con i potenziali consumatori prima ancora che il vino fosse prodotto. Nel suo caso il racconto è fatto in prima persona, è lui che pensa a tutto, in vigna come in cantina, e pure alla comunicazione. Diverso il caso di Marco Caprai che invece il racconto dell’azienda lo fa anche attraverso i suoi dipendenti, spronati a condividere quello che vivono e vedono, e che nel suo intervento è partito dalla sua esperienza di valorizzazione del Sagrantino, condividendo con gli influencer questo percorso di sperimentazione per l’epoca innovativo (erano gli anni dei vitigni internazionali ovunque), e arrivando poi a mezionare i nuovi progetti legati all’internet of things con il progetto delle stazioni meteo nel vigneto per la sostenibilità ambientale.