Eccomi qui a raccontare Dot Wine: scambio di parole dal basso per comunicare il vino, il convegno che si è tenuto la scorsa domenica al Vinitaly e per il quale ringrazio ancora la Strada dei vini e dei prodotti tipici Terre dei Sanniti per l’invito a intervenire che ho accettato molto volentieri. È stato un convegno che, malgrado le polemiche che ne sono scaturite, ha avuto il pregio non da poco di vedere la partecipazione non solo di chi il vino lo comunica ma dei produttori stessi, e considerando gli impegni di tutti al Vinitaly non era cosa da poco. Di solito a questi eventi finiamo tutti a dirci che siamo sempre i soliti, che i produttori non ci sono, e invece qui ce n’erano e non erano solo quelli che su internet ci sono già e sono già coscienti del loro ruolo online. Questo devo dire che mi ha resto particolarmente felice. Meno felice è stato l’intervento di di Sandro Sangiorgi che era evidentemente venuto a presentare il suo libro piuttosto che a parlare di comunicazione dal basso – lo dimostrava la presenza dell’assistente con libri al seguito presto esposti in bella mostra su uno dei tavoli. Accipicchia, a saperlo avrei portato anch’io Il vino a Roma. C’è pure un piccolo glossario sui termini del vino in chiusura! 😉
Il fatto è che Sangiorgi ha esordito dicendo che il vino deve parlare da solo, che il produttore deve stare muto, e va bene l’indole contro corrente del personaggio ma non eravamo lì per dire il contrario? Questo discorso l’ha sviluppato in sintetici minuti 30, non uno di meno, forse qualcuno di più, durante i quali ha parlato di comunicazione 0.0, e cioè quella fatta da professionisti come lui che devono raccontare il vino al posto del produttore. Ora, a Sangiorgi va tutto il mio rispetto per il suo lavoro e per la sua conoscenza del mondo del vino e per di più sono convinta che la comunicazione dal basso non debba togliere il lavoro ai comunicatori professionisti – altrimenti mi darei una zappa sui piedi io stessa – però bisogna tener conto del fatto che arricchisce la conversazione perché aumenta gli interlocutori, e così quando finalmente ho avuto la parola ho esordito dicendo molto semplicemente che il vino nel 2011 non può parlare da solo perché si è fatta così tanta comunicazione fatta male, creando un mito attorno al vino e rendendolo un prodotto elitario, dimenticandosi che è innanzitutto un alimento, che il consumatore si sente inadatto; incuriosito, sì, ma incapace di capirlo, a suo avviso. È come davanti a un quadro astratto: la gente si ferma, pensa che non lo capisce ma se sta in un museo deve essere arte. Beh, io direi che invece sarebbe il caso di dire basta.
Il web 2.0 offre la possibilità al produttore di parlare direttamente al consumatore, senza passare necessariamente per la carta stampata o le guide, e gli offre l’opportunità di sentire anche cosa ha da dire in merito il consumatore, di costruire un dialogo basato sull’ascolto – come ha poi approfondito Jacopo. Per la prima volta anche il piccolo e medio produttore ha davanti a sé un’audience potenzialmente illimitata. E a questo pubblico può raccontare finalmente tutte le emozioni che nascono in vigna stando poi attento a tener conto di eventuali risposte. Così, qualsiasi serata di presentazione dei vini di un’azienda, se il produttore è presente a parlare del suo lavoro, darà delle emozioni che nessun sommelier da solo potrebbe trasmettere perché il sommelier in quella vigna non ci sta tutti i santi giorni, con la pioggia o col sole.
Questo non vuol dire che ogni produttore ora sia costretto ad aprire un blog, un account su Facebook e anche uno su Twitter, però sono strumenti in più, e comunque almeno il sito lo deve avere e soprattutto dovrebbe, secondo le proprie attitudini, cercare di capire come sfruttare le proprie capacità con questi strumenti per raccontare quegli aneddoti, quei momenti di vita quotidiana, in vigna e in cantina, che finiscono inevitabilmente nel bicchiere e che possono essere trasmessi certo con più trasporto di una serie di dati su acidità, tannini ed estratto secco. Perché il vino è fatto di territorio, ma il territorio sono innanzitutto le persone e le persone quando parlano non possono usare solo termini tecnici.
Purtroppo nella polemica mi sono dovuta mettere nei panni della paladina di internet e sono panni che voglio indossare solo in parte. Nel senso che bisogna essere realisti: internet non è la soluzione a tutto e i social network vanno, soprattutto oggi, soprattutto in Italia, ancora presi per quello che ti possono dare. Su Twitter ci sono tanti produttori, esperti, appassionati, ma manca il consumatore medio, per dire. Twitter è quindi lo strumento ideale per fare rete, per costruirsi insieme una visibilità che da soli non si potrebbe mai avere. Di Foursquare non ne parliamo, i tempi sono ancora molto prematuri in Italia. Anzi, invito a leggere il post di Jacopo, fresco fresco pure questo, con alcuni dati sulle iniziative nate online in occasione di questo Vinitaly. Sono numeri di cui tener conto perché nessuno qui offre verità assolute, ma piuttosto segnala che ci sono possibilità che vanno sfruttate perché possono portare a grandi risultati se portate avanti con una buona strategia di fondo.
Domani riprenderò il discorso, per ora mi sono dilungata troppo per i miei gusti, perché a mio avviso Sangiorgi ha dato anche lui un’ottima lezione sul web 2.0 – solo che l’ha fatto senza accorgersene. Stay tuned!
Chi volesse leggere i twit sul convegno può leggerli qui